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CONSIDERAZIONI DI NEW ECONOMY
Enrico Furia (maggio 2000)
Indice
- Abstract
- Una Citazione Storica
- Economia e Politica
- La Globalizzazione
- La New Economy e l’occupazione
- La logica della globalizzazione
- Teoria politica, teoria economica e teoria dei giochi
- Le nuove possibilità di impiego nella new economy
- Un’ipotesi sul futuro
- La soluzione innovativa a confronto con la soluzione di routine
- Abstract
Non è strano che molti ancora si chiedano che cos’è la new economy, considerando che la stessa domanda se la pongono anche molti esperti, o presunti tali.
A nostro sommesso avviso la new economy non è stata inventata da nessuno in particolare, né è nata da una particolare volontà politica (tutt’altro). La new economy deriva naturalmente e spontaneamente da una serie di innovazioni tecnologiche, che hanno modificato la cultura e, quindi, le esigenze della società.
Comunque, qualsiasi cosa la new economy possa essere, va subito affermato che non sostituirà in toto le altre forme di economia preesistenti, ma si affiancherà ad esse, prendendone ad ognuna una parte. In effetti, la civiltà umana è basata su organizzazioni sociali che vanno dalle forme più primitive a quelle tecnologicamente più evolute. In molte parti della terra esistono popolazioni che vivono ancora in maniera primitiva e che attuano il baratto come unica forma di scambio, e che lo attueranno ancora, nonostante la new economy. Esistono organizzazioni sociali che vivono e vivranno fidandosi sempre e solo dei biglietti di banca; e così via.
Pertanto, una prima affermazione sulla new economy sembra plausibile nell’affermare che questa sarà accettata e seguita solo da una minoranza della popolazione economica mondiale.
- Una citazione storica.
Nel 1800 era ovvio che la costruzione dei canali avrebbe cambiato il mondo commerciale. In effetti questi lo fecero, ma solo per un breve periodo di tempo, fino a quando non si ebbe l’avvento delle ferrovie. Probabilmente allo stesso modo troveremo oggi che le trasmissioni via cavo saranno sostituite da quelle via etere? Oppure si troverà che le onde radio costituiscono un serio problema per la salute e saranno abbandonate? Molto più probabilmente è da supporre che entrambe le tecnologie saranno rese obsolete dall’uso delle comuni linee elettriche per la trasmissione delle telecomunicazioni.
- Gli aspetti essenziali della “Nuova Economia”.
La new economy è basata su alcuni concetti generali ed astratti, che cercheremo di analizzare per verificare se possono essere pertinenti al mondo delle costruzioni:
La new economy è un processo che capovolge la storia in maniera silenziosa.
Durante il XX° secolo le industrie (manifatturiere e commerciali) hanno adottato tutte le strategie difensive per proteggere i loro affari da nuovi concorrenti, cercando soprattutto di rendere estremamente elevati i costi di ingresso. Con la new economy possiamo invece notare che i costi di ingresso per nuovi concorrenti sono diminuiti grazie a due innovazioni essenziali:
- costi di comunicazioni molto contenuti;
- la possibilità di trasformare costi fissi in costi variabili.
La prima conduce ad una estrema duttilità del mercato e ad una efficacia estrema delle informazioni di cui si viene in possesso. Per la seconda dobbiamo evidenziare come questa sia più una riscoperta che una nuova invenzione. Nel XIX° secolo esisteva una struttura commerciale molto più aperta rispetto a quella del XX° secolo, che permetteva a nuovi imprenditori di entrare nel mercato con costi molto più limitati. La dimensione delle imprese era mediamente più piccola, e le attrezzature e la terra potevano essere prese in affitto. Nella Gran Bretagna vittoriana era abituale che le macchine industriali venissero affittate dai produttori, invece che essere vendute, la qual cosa permetteva di equilibrare molto di più i costi tra le imprese esistenti sul mercato e le nuove entranti.
L’avvento delle linee di produzione, delle imprese di Stato, e della ricerca di economie di scala attraverso la creazione di imprese sempre più grandi, capovolse questo sistema e dal 1920 in poi si assistette da una parte all’accettazione della linea di produzione come modello industriale, e dall’altra all’accettazione della economia “politica”. Le figure dominanti dell’economia non erano più sfidabili se non dai più ricchi e potenti concorrenti. Era una situazione certamente di disagio che minava la concorrenza.
Nella new economy la “virtual corporation” può operare da una piccola unità centrale, acquisendo la gamma completa dei suoi servizi all’esterno con l’outsourcing. Pertanto, trasformando l’azienda da unità puramente manifatturiera ad unità commerciale si sono trasformati molti costi fissi in costi variabili, permettendo all’attività di acquisire e vendere con il minimo immobilizzo e con il minimo lavoro attraverso la rete telematica: aziende inefficienti falliscono prima, ed aziende efficienti si espandono più in fretta. Questa politica economica è decisamente orientata al mercato ed è in grado di offrire il prodotto migliore al prezzo migliore:
L’outsourcing, vale a dire l’affidamento di attività interne a fornitori esterni, unitamente con l’introduzione di canali di distribuzione elettronica, contribuiscono a generare una struttura economica alternativa. Molti mercati, compreso quello delle costruzioni, con l’outsourcing possono avere molte più nicchie di competizione: è possibile noleggiare una maggiore quantità di procedimenti produttivi, ed è possibile avere personale solo quando ve n’è bisogno, sostenendo quindi solo costi variabili, vale a dire direttamente attribuibili a quello che si sta producendo.
L’outsourcing sta giocando un ruolo sempre più importante riducendo le attività essenziali ad una dimensione sempre più piccola. Questo aspetto riduce certamente i costi, stabilisce limiti di budget e, in funzione della natura del contratto, converte i costi fissi in costi variabili, consentendo di raggiungere il punto di pareggio a livelli molto inferiori.
L’importanza della crescita dell’outsourcing è stata documentata da una indagine condotta da Datamonitor che documenta come questo mercato sia cresciuto dai 13 miliardi di dollari del 1993 ai 105 miliardi di dollari del 1996.
- Economia e Politica
Il XX° secolo è stato certamente il periodo più tragico per la società. Due guerre mondiali di dimensioni mai prima sopportate hanno sconvolto i rapporti sociali, consentendo la nascita di regimi dittatoriali molto più feroci di quelli che si erano combattuti con le guerre di indipendenza nazionali.
Il bisogno di ricostruzione dopo ogni distruzione ha portato alla preminenza della politica sull’economia, con la conseguenza che la vita sociale è stata regolata dalla logica politica piuttosto che da quella economica. In economia più le parti sono ricche (vale a dire hanno capacità di spesa), più la crescita economica è fattibile, più gli interessi di tutte le parti vengono rispettati e soddisfatti.
La concentrazione del reddito secondo le regole economiche è una caratteristica negativa proprio per la legge economica dei bisogni decrescenti. In effetti, un reddito diffuso produce molta più crescita economica di un reddito concentrato, giacché il consumo diffuso è essenziale per la produzione (non per niente nella new economy il cliente è la maggiore risorsa per ogni impresa). Inoltre, per poter prosperare l’attività economica ha bisogno di soddisfare i bisogni di tutti, non solo quelli dei forti.
Questa logica, molto semplice e molto efficace proprio perché vera e reale, è stata dapprima negata e poi falsificata da una classe politica che l’ha trasformata in un capro espiatorio.
Che le guerre vengano fatte per motivi economici è una mistificazione politica che tutti quelli che conoscono minimamente le regole economiche afferrano immediatamente.
In economia non si fanno guerre, si combinano scambi per avere profitti da tutte le parti.
La logica politica, al contrario, è basata sull’imposizione del potere per cui deve esistere un qualcuno che impone il potere ed un qualcuno che lo subisce, che soccombe. Più è ristretta la schiera degli gli impositori, più potere ha ognuno. Più sono i soccombenti, più bravo è l’impositore, il politicante. Questa regola, tuttora corrente, non ha permesso alla maggior parte degli stati europei di avviare nessun tipo di “attività economica”, ma solo di “attività politiche”.
Le aziende di stato hanno operato non solo in regime di monopolio, ma contro ogni regola economica; molti sedicenti imprenditori sono stati solo “operatori politici”, non operatori economici.
La maggior parte delle infrastrutture è inutile, quindi non adatta a soddisfare bisogni economici:
quelle infrastrutture sono state fatte solo perché permettevano di esercitare potere.
Pertanto, mentre si può parlare di new economy per gli Stati Uniti, si deve forse solo parlare di “economy tout court” per molti stati europei, giacché prima l’economia neanche esisteva.
La new economy, basata essenzialmente sulla globalizzazione (liberalizzazione), non subisce le imposizioni politiche, in quanto è libera di spostarsi e di trasferirsi nei luoghi più favorevoli, sia reali che virtuali.
- La Globalizzazione
“La globalizzazione dei mercati, combinata con INTERNET renderà sempre più difficile per i governi mettere le mani sui soldi. Sarà sempre più difficile imporre tasse, e i governi troveranno difficile avere quello che chiedono. La tecnologia rende sempre più facile avere transazioni economiche alla velocità della luce, e gli operatori possono scegliere i luoghi e le modalità che limitano il pagamento di tasse. Piuttosto che spendere soldi per combattere queste possibilità, i governi farebbero meglio ad imparare ad adattarvisi.” Questo è il punto di vista del Dr. Madsen Pirie, uno dei maggiori teorici di destra britannici, un personaggio che ha avuto un profondo effetto sulle politiche dei governi conservatori degli anni 80 e 90.
La politica economica della globalizzazione dei mercati, tanto osteggiata dai verdi alle ultime trattative di Seattle e di Washington, in effetti punisce solo quello che in Italia chiamiamo con un termine di comodo “diritti acquisiti”, ma che sono solo correttamente definibili come privilegi o rendite di posizione.
“La produzione si è spostata in paesi a più bassi costi, ed io credo che qualcosa di simile succederà con i servizi finanziari”, afferma Paul Feldman, capo dei servizi di gestione della Nationwide Building Society. “L’indebitamento si sposterà nei paesi a basso tasso di interesse, e la ricchezza maturerà lì. Sarà la concorrenza a stabilire i prezzi dei mutui, piuttosto che la politica del tasso di interesse dei governi”.
“E’ stata la tecnologia digitale ad assistere per prima lo sviluppo di aziende transnazionali. E’ stato l’uso della produzione assistita da computer alleato con la robotica che ha reso possibile sistemi di produzione flessibili, e adattati alle particolari esigenze del cliente e del mercato”, affermano William Lever e Peter Daniels in The Global Economy in Transition.
Può essere ipotizzato che paesi con un forte sistema bancario lo abbiano costruito alle spalle di solide economie industriali (Il Regno Unito dopo la rivoluzione industriale; gli Stati Uniti durante la prima parte del XX° secolo; la Germania dopo la II° guerra mondiale).
Si può inoltre pensare che, per motivi di profitto o per questioni giuridiche, il Giappone contraddica questa tendenza, nondimeno la relazione tra sistema bancario e sistema produttivo in Giappone è molto più stretta di quanto non lo sia tradizionalmente in Europa o negli Stati Uniti, giacché una delle più importanti funzioni delle banche giapponesi è stata quella di supportare le industrie, la qual cosa l’hanno fatta ammirevolmente considerando le prospettive di lungo termine.
In base a queste prospettive, pertanto, il settore bancario non può essere giudicato separatamente dall’economia nel suo complesso: il settore finanziario deve essere considerato come un servizio all’economia reale, vale a dire a quella produttiva, e non come fine a se stesso. Questo principio è supportato da un vasto ingresso nel settore bancario di industrie leader quali Volkswagen, Ford e General Motors, dove ognuna di esse vede i servizi finanziari come un mezzo per raggiungere i profitti non solo come una attività aggiuntiva, ma anche come un metodo per aumentare le vendite riducendo il costo dei propri prodotti.
- La New Economy nei Lavori Pubblici.
Gli aspetti di new economy finora esposti appaiono pertinenti non solo ai settori prettamente innovativi, ma anche al settore dei LL.PP., nonostante che questa richieda uno sconvolgimento che né le imprese di costruzione, né soprattutto la pubblica amministrazione sono disposti a sostenere per ragioni “politiche”.
Queste ragioni, che in Italia hanno portato il settore ad essere di tipo non economico, quindi privo di ogni efficienza e di ogni utilità per i consumatori, continuano ad ostacolare non solo la new economy, ma anche l’attuazione stessa di qualsiasi regola economica.
La new economy nel settore delle costruzioni può essere immediatamente avviata da un punto di vista giuridico seguendo il disposto della normativa comunitaria sugli appalti pubblici di lavori e forniture, nonché la normativa nazionale disciplinata dalle leggi nazionali.
In concreto, in base alla normativa vigente il settore delle costruzioni può far riscorso ad una serie di possibilità che di seguito cerchiamo di elencare in maniera indicativa e non limitativa:
- costituzione di S.p.A. a capitale misto pubblico privato per allargare la base imprenditoriale.
Su questo argomento si confronti dello stesso autore “Il Ponte” n° 10, 2000, pagg. 3 e segg.
In effetti, ai sensi delle LL: 142/90 e 724/94, proprio per allargare la base imprenditoriale, viene concessa la possibilità di costituire società per azioni aventi finalità pubbliche, che possono operare per lo sviluppo del territorio, consentendo così la partecipazione imprenditoriale dei privati in progetti aventi pubblica utilità.
Questa possibilità legislativa ha, praticamente, anticipato i concetti di new economy ben dieci anni fa, concedendo di sconvolgere un modo inefficace e inutile quale era il precedente metodo di gestione dei lavori pubblici. Nonostante questo impegno legislativo, bisogna considerare con rammarico che queste nuove possibilità sono state sfruttate solo in minima parte.
- accesso diretto al mercato dei capitali finanziari, escludendo intermediari bancari o di altra natura.
Analizzando in dettaglio le Leggi 142/90 e 724/94, si evince come una S.p.a. a capitale misto possa emettere sui mercati nazionali e internazionali, oltre alle normali obbligazioni ed azioni, certificati di investimento ed altri strumenti finanziari atipici che permettano all’organismo di stare sul mercato come una vera e propria banca.
Inoltre, qualsiasi società privata può, invece che cedere azioni su mercati liberi o regolamentati, chiedere mutui senza intermediari finanziari, mutui che permettono di aumentare il proprio attivo “asset”, fino alla restituzione del mutuo stesso. La capacità di indebitamento costituisce uno degli strumenti più potenti nella new economy. Le più vistose acquisizioni e fusioni sono state fatte sui principali mercati mondiali proprio per la capacità di indebitamento degli operatori. Con i mutui concessi gli operatori finanziari costituiscono delle garanzie di credito che vengono scontate e che circolano come moneta che produce reddito, ripagandosi a latere del credito concesso.
- tariffazione dei servizi pubblici, in modo da trasformare le imposte in tasse.
La tariffazione dei servizi pubblici è un’ipotesi di new economy in quanto abbassa il prelievo fiscale, trasformando un costo fisso (imposta) in un costo variabile (tassa), e aumenta il livello di trasparenza e di controllo dell’efficienza del servizio reso.
Infatti, mentre un’imposta (diretta o indiretta) colpisce il reddito, quindi l’utilità economica, ed è quindi punitiva per l’efficienza, al contrario la tassa è il corrispettivo, il prezzo di un servizio reso. Orbene, imponendo una tariffa ai servizi pubblici, si applica una tassa, ovvero un corrispettivo per un servizio reso, calcolando, così, l’utilità e l’efficienza del prodotto fornito. Non tariffando i servizi pubblici, bisogna allora ricorrere al pagamento di imposte come risorse finanziarie, la qual cosa è punitiva (per definizione) di ogni efficienza. Per tariffare, beninteso, il servizio pubblico deve essere economicamente utile (capace di soddisfare una domanda).
- trasformazione dei costi fissi in costi variabili attraverso contratti di lease-back, o similari.
La P.A. è piena di patrimonio immobiliare improduttivo, che costituisce quindi costo fisso. L’inutilità di questa gestione si ripercuote ovviamente sull’imposizione fiscale e, quindi, sulla utilità economica del patrimonio pubblico, sacrificando risorse finanziarie che potrebbero essere impiegate per investimenti. Alienando gli immobili le PP.AA. potrebbero riaverli in possesso con contratti di lease-back, così da trasformare costi fissi in costi variabili e trasferendo, al contempo, maggior trasparenza ed efficienza nell’attribuzione di costi per ogni attività.
Per quanto concerne i privati si segnalano i casi di alcune grandi imprese (Telecom, ENI, ENEL, IBM, etc.) che hanno alienato beni immobili per riaverli poi in lease-back o in affitto. In questo modo queste imprese hanno ottenuto parte della liquidità necessaria per finanziare ulteriori investimenti.
- outsourcing del back-office.
Per back-office si intendono tutte quelle attività che non hanno relazione diretta con il mercato.
Per outsourcing si intende l’affidamento di una attività non essenziale a terze parti.
Texas Instruments ha ceduto gli stabilimenti di Rieti e di Avezzano per avere poi da questi gli stessi prodotti che T.I. produceva direttamente. IBM ha fatto la stessa cosa con lo stabilimento di Santa Palomba.
Le PP.AA. hanno avviato alcune attività di outsourcing del back-office appaltando servizi ai privati (Catasto Immobiliare, Riscossione tributi, Rilevazioni anagrafiche, etc.). C’è in effetti da considerare che la stragrande maggioranza dei servizi pubblici costerebbero di meno se venissero affidati in outsourcing.
- apertura di relazioni finanziarie internazionali.
Ritornando alla citazione di Paul Feldman sopracitata, nella new economy è la concorrenza a stabilire il costo dell’indebitamento, piuttosto che la politica del tasso di sconto dei governi.
Pertanto, per avere credito vantaggioso, la new economy prescrive di avere relazioni finanziarie internazionali. Solo chi si affida alla banca (o bancarella) sotto casa deve sottostare alle condizioni che gli vengono imposte.
- ricorso alla conciliazione e all’arbitrato extragiudiziale.
Il Regolamento di attuazione della Legge quadro in materia di Lavori Pubblici dell’11 febbraio 1994 n° 109 – il cui titolo X è dedicato all’accordo bonario ed alla definizione delle controversie – è stato pubblicato sulla G.U. del 28 aprile scorso. Si rimane in attesa dell’adozione del decreto interministeriale previsto all’art. 2 della legge per la determinazione delle regole di svolgimento del giudizio e delle relative tariffe.
La conciliazione e l’arbitrato hanno estensione transnazionale e validità di atto giudiziario immediatamente esecutivo. Questa nuova prassi riduce il contenzioso ed i tempi di giudizio, permettendo di avere giustizia in breve tempo. La International Chamber of Commerce (Parigi) è l’istituzione che ha maggiore esperienza in questo argomento, e l’attendibilità dei suoi lodi arbitrali è universalmente riconosciuta, anche se l’organismo ha natura privatistica.
- trasformazione degli immobilizzi in attività finanziarie.
Chiunque si intende di bilancio aziendale sa per certo che qualsiasi credito va registrato nel “dare”, quindi come passività, mentre qualsiasi debito va registrato nell’“avere”, quindi come attività.
Pertanto, immobilizzare crediti o beni equivale ad iscrivere in bilancio passività. Questo le borse mondiali lo sanno benissimo, per cui aziende come Microsoft valgono di più di aziende come General Motors, anche se sono cinque volte più piccole.
- Utilizzo degli strumenti telematici per il marketing, l’engineering, le vendite, i rapporti con le PP.AA.
Come abbiamo già sopra citato, con la new economy i costi di ingresso per nuovi concorrenti sono diminuiti grazie a due innovazioni essenziali: la trasformazione dei costi fissi in costi variabili; la riduzione dei costi di comunicazione.
Pertanto, se i concorrenti basano le loro attività su questi due presupposti, anche le imprese leader del mercato devono adeguarsi, pena l’uscita dal mercato.
Per citare un esempio concreto, lo scrivente esercita attività di insegnamento a distanza con strumenti telematici a costi cinque volte inferiori a quelli tradizionali.
- La New Economy e l’occupazione.
Un problema apparentemente irrisolto nella new economy è quello dell’occupazione.
A prima vista sembra che l’ottenimento di efficienza dalle imprese sia strettamente legato ad un aumento della informazione e dell’automazione a discapito della forza lavoro.
La premessa generale della globalizzazione è che l’impresa sia libera di spostarsi nel luogo più favorevole; per cui, se il costo del lavoro, o degli oneri in Europa è proibitivo, certamente questa localizza le sue attività in un sistema economico più favorevole. Ovviamente questa ipotesi può essere un po’ più difficile nel settore delle costruzioni per la natura stessa del prodotto (immobile, quindi ancorato al terreno), per cui l’impresa nazionale che volesse lavorare in ambiente di new economy non può partecipare in pieno della liberalizzazione. Purtuttavia una impresa transnazionale può operare momentaneamente nel paese di realizzazione della infrastruttura con forza lavoro appartenente ad una organizzazione sita in un paese a regime più favorevole, superando le difficoltà giuridiche e fiscali del paese ospitante. A questo proposito vale la pena ricordare l’affermazione sopracitata di Madsen Pirie, e anche noi riteniamo che sia l’ora che i governi si adeguino ad una situazione che da loro non è più gov ernabile.
A nostro sommesso parere anche se la globalizzazione della new economy non è la panacea di tutti i mali, riteniamo che comunque sia la forma più opportuna per generare occupazione e quindi maggiore benessere.
Dopo aver definito la new economy, riteniamo opportuno cercare di definire anche un “new business in constructions”, giacché riteniamo che il vecchio modo di intendere le costruzioni ormai abbia poco da dire in fatto di occupazione e di new economy.
Quelle che chiameremo per pura necessità di lavoro “vecchie costruzioni” è quel modo di fare legato sia agli appalti pubblici, sia a tutte le costruzioni private basate su licenze, autorizzazioni e controlli pubblici che ancora caratterizzano il mercato delle costruzioni. Questo mercato, da un punto di vista occupazionale non può offrire niente di più, anzi prevede una costante riduzione della forza lavoro. I problemi principali sono essenzialmente i costi, la corruzione, la speculazione.
Per poter dare 100 di stipendio netto ad un proprio dipendente, un’impresa di costruzione ne spende circa 300.
Il costo della corruzione può essere mediamente stimata intorno al 20% del costo per i lavori pubblici, mentre quello per le costruzioni private si può mediamente stimare intorno al 5%.
La speculazione edilizia ha portato ad un elevato volume di invenduto, perché le imprese non hanno costruito per soddisfare la domanda, ma per speculare sui terreni, sulle licenze e sui soprusi.
Esempio lampante della conseguenza di questa pratica è quello verificatosi ad una multinazionale a Milano, la quale benché estremamente interessata a collocare in città un suo quartier generale, qualche anno fa non riuscì a trovare neanche un immobile adatto a soddisfare le proprie esigenze, né ottenne licenza per una nuova costruzione.
Quelle che invece chiameremo (sempre per pura necessità di lavoro) “nuove costruzioni” è l’essenza stessa del capitalismo definita da Joseph Schumpeter in Capitalismo, Socialismo e Democrazia, cioè la “distruzione creativa”, vale a dire il ciclo perpetuo di distruggere il vecchio ed il meno efficiente per far posto al nuovo e più efficiente. L’esempio sopracitato del Texas ne può esserne una facile dimostrazione.
E’ facile capire come con questa filosofia le costruzioni possano avere un futuro trasparente. Malauguratamente questa mentalità in Europa e soprattutto in Italia è ancora lontana dall’arrivare, e le conseguenze si verificano con la crisi tecnologica che viviamo rispetto agli Stati Uniti.
Cerchiamo di analizzare, quindi, perché il mercato americano è in forte espansione e quello europeo in recessione.
- La logica della globalizzazione.
La new economy è certamente figlia della globalizzazione, un fenomeno caratterizzato da due figure opposte che gli americani hanno chiamato il leccio e l’ulivo. L’ulivo rappresenta il senso della casa e della proprietà: è una caratteristica della nostra identità radicarsi da qualche parte e per qualche motivo; se perdiamo le radici perdiamo noi stessi. A causa di questi motivi, “fondamenta” delle motivazioni umane, del bisogno di assistenza, o del senso di identità e di comunità, noi possiamo spiegarci perché, generazione dopo generazione, abbiamo combattuto per l’ulivo.
Il leccio rappresenta, invece, la spinta per la società e per l’economia a consolidarsi intorno ad un grande supermercato, una guida verso la socializzazione, la prosperità e, dunque, il cambiamento della globalizzazione. Quali sono i pro e i contro di un sistema globalizzato?
Il “sistema globalizzato” si oppone al “sistema della guerra fredda”.
- Guerra Fredda e Sistema Globale
La guerra fredda ha avuto la sua struttura di potere: il bilanciamento tra Stati Uniti ed URSS.
La guerra fredda ha avuto le sue regole: in politica estera ognuno si occupava della sua sfera di influenza; in economia i paesi in via di ricostruzione basavano la loro crescita sulla nazionalizzazione, i paesi in via di sviluppo sulle esportazioni, i paesi comunisti sull’autarchia, e i paesi occidentali sul commercio regolamentato.
La guerra fredda ha avuto i suoi trend demografici: l’emigrazione da est verso ovest era impedita dalla cortina di ferro, mentre i movimenti da sud a nord venivano incoraggiati. La guerra fredda ha avuto le sue prospettive globali: il mondo era uno spazio diviso tra il settore comunista, quello occidentale, e quello neutrale; ogni nazione stava in uno dei tre settori. La guerra fredda ha avuto le sue tecnologie: le armi nucleari e la seconda rivoluzione industriale ne erano gli strumenti più rilevanti, mentre per molte persone nei paesi in via di sviluppo, falce e martello erano ancora gli attrezzi più usati. La guerra fredda ha avuto i suoi sistemi di misura: le gittate dei missili nucleari. La guerra fredda ha avuto la sua paranoia: l’annullamento nucleare.
Presi nel loro insieme questi elementi hanno influenzato le politiche nazionali e le relazioni internazionali di tutti i paesi del mondo. La guerra fredda non ha condizionato tutto, ma certamente molto.
La globalizzazione non è, al contrario, un sistema statico, ma un proceso dinamico.
La globalizzazione coinvolge inesorabilmente l’integrazione di mercati, nazioni e tecnologie ad un livello mai raggiunto prima permettendo alle persone, alle imprese e ai governi di raggiungersi prima, e ad un costo più contenuto che mai. L’idea guida della globalizzazione è l’economia di mercato: più lasci il mercato libero di autoregolamentarsi, più apri la tua economia al libero mercato e alla concorrenza, più essa sarà efficiente e florida. Anche la globalizzazione ha le sue regole economiche, che girano intorno ai concetti di apertura, deregolamentazione e privatizzazione dell’economia.
A differenza della guerra fredda, la globalizzazione ha una cultura unica.
- L’evoluzione dell’occupazione fino alla new economy.
La new economy è figlia della globalizzazione, in quanto è possibile solo a seguito di essa. La new economy è una rivoluzione silenziosa, così come lo è stata l’industrializzazione.
Prima dell’era industriale il 70% circa della popolazione trovava occupazione nell’agricoltura. La civiltà contadina permetteva a tutti di campare; la struttura sociale della società contadina era rigida, e la famiglia ne era l’unità sociale.
L’era industriale, distruggendo la civiltà contadina, distrugge anche tutto il suo livello occupazionale (oggi nell’agricoltura italiana è impegnato solo il 3% della popolazione).
Come dire, l’industrializzazione distrusse l’occupazione e l’ordine sociale costituito, costringendo la maggior parte della forza lavoro a riciclarsi (nei primi anni ’70 il settore industriale occupava circa il 50% della popolazione italiana). Con la fine del decennio inizia una nuova rivoluzione silenziosa: l’avvento del terziario (servizi), che distrugge l’occupazione industriale (oggi è minore del 30% della forza lavoro). Negli anni ’90 il terziario avanzato toglie ulteriore occupazione al settore industriale e al terziario stesso, ma senza creare occupazione aggiunta. Oggi la new economy toglie occupazione a tutti i settori tradizionali, ma, al contrario del terziario avanzato, non solo restituisce quello che toglie, ma certamente lo moltiplica.
- Teoria politica, teoria economica e teoria dei giochi.
Nella creazione di ricchezza reale le teorie di globalizzazione e new economy, che finora abbiamo esposto, si estrinsecano in una pratica molto semplice: “Sono attività globali e di new economy solo quelle attività che generano utilità economica”.
In economia un prodotto è utile solo quando riesce a soddisfare una domanda. Pertanto il valore di un prodotto non è dato dal suo valore di costo, ma dalla sua utilità. E’ utile a questo punto ricordare che uno dei principali elementi della new economy è la trasformazione dei costi fissi (costi da sostenere anche in assenza di produzione) in costi variabili (costi che si sostengono solo in caso di produzione).
In economia è razionale il comportamento che accetta il principio del rapporto tra costi e benefici (i benefici devono essere sempre maggiori dei costi che si sostengono per averli).
Mentre il determinismo calcola le variabili di una funzione solo in condizioni di certezza, la teoria dei giochi analizza le decisioni razionali prese in condizioni di incertezza, quindi in mancanza di informazioni complete che permettano di prevedere il risultato delle decisioni prese.
La teoria moderna dei giochi ha inizio con La Teoria dei Giochi e il Comportamento Economico (1944) di Von Newmann e Morgenstern. Questa teoria analizza l’interazione dei comportamenti, date determinate premesse, che concernono le decisioni prese in condizioni di rischio, l’ambiente generale, ed il comportamento cooperativo o non cooperativo delle altre persone. E’ da premettere che l’economia convenzionale ci fornisce una teoria sulle decisioni con la condizione che queste vengano prese in situazione di certezza delle informazioni. Quando le informazioni sono incerte o carenti, o quando esse interagiscono con altre condizioni di incertezza, l’economia tradizionale non ha nessuna teoria con la quale supportarci.
- La teoria dei giochi offre quattro condizioni essenziali di analisi:
- giochi a somma zero: tanto guadagna l’uno, quanto perde l’altro;
- giochi a somma diversa da zero: tutti i giocatori possono guadagnare da una decisione presa da se stessi o da altri;
- gioco a cooperazione: è possibile la collusione delle parti;
- gioco senza cooperazione: non è possibile la collusione delle parti.
Per collusione si intenda un accordo tra le parti (persone, società, ecc.) a cooperare per evitare un danno reciproco o la rivalità tra le parti. Gli strumenti per raggiungere questo livello di cooperazione vanno dall’accordo tacito e informale agli accordi formalizzati di “cartello”, in cui si possono imporre sanzioni a coloro che non rispettano il cartello.
La teoria dei giochi si è dimostrata molto efficace nell’analizzare gli aspetti di comportamenti economici come l’oligopolio, l’apprezzamento e il deprezzamento delle risorse naturali, i beni pubblici. La teoria dei giochi cooperativi, che consente la collaborazione tra le parti, è stata utilizzata per analizzare la formazione dei cartelli, nonché le collusioni industriali e nel mercato del lavoro.
Ora, dal momento che nelle economie correnti siamo di fronte a situazioni di incertezza, è possibile definire le possibilità di nuova occupazione nella new economy in base alla teoria dei giochi, per cui:
- La politica è un gioco a “somma zero”.
Si ha un gioco a somma zero quando la somma vinta dal vincitore è persa dallo sconfitto (gioco delle carte, lotteria, compravendita di azioni).
- Il business è un gioco a "somma non zero”.
Si ha un gioco a non somma zero quando il perdente perde meno di quanto abbia vinto il vincitore, o quando tutti i partecipanti al gioco vincono (seppur somme differenti). Ricordiamo che per la teoria del rapporto costo/benefici, qualsiasi transazione di tipo economico è un gioco a somma non zero, in quanto entrambi le parti hanno sempre un vantaggio, se decidono in maniera razionale.
La politica è un gioco a somma zero in quanto il vincitore acquisisce l’esatto potere del perdente.
In tutte le sue forme (punitivo, remunerativo, condizionatorio) il potere politico risponde a questa regola. In politica, dunque c’è sempre uno che vince e uno che perde.
In economia il potere corrisponde al reddito (puoi soddisfare i tuoi bisogni solo se hai un reddito da spendere). Pertanto, come in politica chi non ha potere non partecipa alla vita politica, quindi non è un soggetto politico, così in economia chi non ha reddito non può soddisfare i propri bisogni, quindi non è un soggetto economico.
La differenza di base tra le due discipline è data dalla loro differente logica di base.
In economia non vi è alcun interesse a stabilire un rapporto con qualcuno che non ha reddito da spendere, in quanto costui non può permettersi nessuna transazione, nessuno scambio, quindi non permette di combinare nessun affare.
L’economia, però, è basata proprio sullo scambio e sulla capacità di ognuno di scambiare qualcosa, quindi di consumare e di permettere di consumare. In assenza di consumo la produzione non serve a nulla (solo economie primitive possono ancora basarsi sull’autoconsumo, non certo la new economy).
Allora, in presenza di uno, mille, milioni di nullatenenti, l’economia trova il suo interesse e la sua essenza nel cercare di aumentare il loro potere (reddito) in modo che questi possano consumare la produzione di altri, e permettere ad altri di acquisire il loro reddito. In economia i senza reddito vanno finanziati affinché possano comprare, e quindi produrre, e quindi consumare, e quindi ancora produrre, e così via. Pertanto, con una conclusione semplice, in economia il potere si concede anche a chi non lo ha, perché più costui ha potere (reddito), più si possono combinare transazioni e scambi. In economia tutte le parti che partecipano al gioco vincono, quindi il gioco è a somma non zero, positiva.
In politica la cosa è esattamente opposta. Se si concede potere a qualcuno, questi ci porta via il nostro, proprio perché il gioco è a somma zero. In politica non si possono fare affari di tipo economico, ma solo affari del tipo “ho fatto un affare”, nel senso (l’ho fregato…, sono stato più bravo..., io ho guadagnato e lui ha perso…). Inoltre, il comportamento tra le parti politiche (vincenti e perdenti) è di tipo non cooperativo, per cui non vi può essere collusione (accordo) tra le parti che porti alla logica economica del rapporto costo/benefici.
Sia ben chiaro: quando si parla di collusione politica, questa esiste, è vera, e reale. Ma questo accordo (collusione) non intercorre mai tra vincenti e perdenti (come nella corretta teoria dei giochi), ma solo tra i vincenti. In questo caso ricorre la teoria oligopolistica dell’economia convenzionale.
Il vecchio mondo delle costruzioni è stato basato essenzialmente su considerazioni di potere politico. Troppi lavori sono inutili, proprio perché sono solo politici (a somma zero), dove, tutto quello che guadagnano i “politicanti” lo perdono “gli altri”. Il vecchio mondo delle costruzioni è fuori mercato per la new economy perché non ha mai soddisfatto la domanda (marketing), ma ha soddisfatto il potere politico. Questo mondo non può più fornire alcuna occupazione proprio perché la sua produzione non ha utilità economica.
Il nuovo mondo delle costruzioni che può entrare nella new economy, è quel mondo che conferisce potere economico, vale a dire conferisce credito, credibilità. La credibilità non è il credito di tipo bancario dove si ottiene sconto o anticipazione di un reddito già esistente; credibilità economica è quella basata sulla possibilità di “creare ricchezza”.
Alla luce di quanto emerge da questa analisi, le teorie finanziarie di vecchio tipo bancario o statalista hanno poco senso, se non quello di classificarsi come teorie basate sul potere politico e non su quello economico.
La new economy è in grado di assorbire tutta la manodopera dismessa dall’industria e dal terziario, perché ha in sé la logica (il buon ragionamento) per creare nuova ricchezza, qualità che manca sia alla politica che all’economia convenzionale, per le quali la capacità di investimento equivale alla capacità di risparmio. Sopra abbiano definito la new economy come la “true economy”, vale a dire l’economia quella vera, non quella usata come capo espiatorio dal potere politico.
- Le nuove possibilità di impiego nella new economy.
Ritornando all’analisi sopracitata di Schumpeter, quindi, “distruzione creativa” e creazione di nuova ricchezza si integrano nel senso che tutto quello che è stato costruito male, o è inutile, va distrutto per ricrearlo più efficiente.
L’Italia è piena di “costruito” inutile, quindi dannoso. Roma è piena di palazzine “politiche” che sono pericolose, antiestetiche ed inutili. Molte industrie (cattedrali nel deserto) vanno abbattute per ridare spazio ad attività di tipo economico (agricoltura, ambiente, turismo, cultura, ecc.). Napoli è una città che va ricostruita di nuovo per un buon 50%. L’intero territorio italiano va riprogrammato e ricostruito per un buon 20% della sua estensione. Naturalmente, oltre al costruito inutile, va abbattuto anche quel retaggio culturale, che è madre di tutte le nefandezze finora compiute, e va sostituito con la cultura del “potere (reddito) economico”.
Ora, abbattere il costruito abusivo, inutile, ed obbrobrioso, appare come opera abbastanza facile, giacché la tecnologia offre la possibilità di impiegare macchine che in pochissimo tempo possono demolire qualsiasi tipo di costruzione. Più difficile appare l’opera di abbattimento di quella cultura madre di nefandezze che fa capo ad un potere politico che, prima di arrendersi, preferisce farsi uccidere (cosa non facile, né umanamente accettabile).
Per abbattere la cattiva cultura un’idea potrebbe essere quella di costringere i suoi esponenti a vivere meno di privilegi e più di lavoro (principale elemento che genera potere economico), considerando che il potere economico (reddito) di cui abbiamo ampiamente discusso si basa sulla “distruzione creativa” di Schumpeter.
Ma una volta demolito il costruito, con che cosa si ricostruisce?
Questa è certamente la prima domanda che si pone la vecchia finanza di tipo bancaria e statalista, dove credibilità significa solo sconto o anticipazione su ricchezza già esistente.
Con la teoria politica non è possibile distruggere quell’enorme quantità di costruito che è inutile, perché per la sua ricostruzione la teoria politica (compresa la politica economica) presuppone che esista già una pari ricchezza che possa finanziarla. In molte Scuole ed Università ancora si insegna che la capacità di investimento di un sistema economico è pari alla sua capacità di risparmio, mentre in new economy la capacità di investimento è pari alla capacità di ricchezza futura producibile. In effetti la teoria politica ed economica convenzionale appaiono del tutto illogiche, giacché non si vede come si possa generare risparmio da investire se prima non si è investito per generare risparmio.
Ci si rende conto che nessun vecchio bancario o statalista riuscirà mai a capire una siffatta teoria, e che, tutte le volte che l’essere umano si trova davanti ad un qualcosa che non capisce, lo respinge. Ci si rende conto che molti “economisti di palazzo” sono stati pronti e saranno sempre pronti a parlare di bolle speculative solo perché non capiscono il nuovo meccanismo che è alla base del valore. Eppure, nella logica della new economy la ricostruzione del distrutto è estremamente semplice: è finanziata e si basa sulla creazione di ricchezza futura, dove il credito, la credibilità per finanziarla non è certo data da emissione di biglietti di banca, di obbligazioni del tesoro, o da qualsiasi altro strumento finanziario convenzionale, ma dalla creazione di credibilità affidata a persone che capiscono, e quindi credono in quello che fanno. La quantità di credibilità affidata è estremamente semplice da controllare con le correnti tecnologie, e l’esempio seguente che può giustificarla è vecchio quanto il mond o.
Tutti quelli che sono di fede ebraica sanno perfettamente come si comporta la loro cultura nei confronti del credito e della credibilità, così come ne dovrebbero sapere qualcosa anche tutti quelli di fede cristiana, giacché lo stesso principio è riportato nella preghiera del Padre Nostro.
Nella tradizione giubilare ebraica si rispettava, tra gli altri, il principio della remissione dei debiti ogni cinquanta anni. Questa norma consuetudinaria attribuiva ad ogni cittadino che ne avesse bisogno la possibilità di indebitarsi per poi restituire il credito secondo gli accordi convenuti. Questa capacità di credito conferiva ad ognuno con la nascita un certo reddito (potere), credibilità, che costui poteva utilizzare per le sue attività e restituire secondo gli accordi. Il ciclo cinquantennale giubilare stabiliva la durata di un intero ciclo economico, che culminava proprio con la remissione dei debito e con l’inizio di un nuovo ciclo. Questo gioco, che nella nostra cultura è considerato a “somma zero” (rimettere i debiti significa accusare una perdita secca), nella tradizione ebraica era a “non somma zero”, in quanto sia il creditore che il debitore avevano un guadagno da questo tipo di operazione finanziaria. Il debitore ne aveva vantaggio perché acquisiva capacità di spesa, mentre il creditore ne acquisiva vantaggio perché diventava titolare di credito presso tutti e qualsiasi altro.
Sembra un gioco insulso, ma è l’essenza stessa della finanza. Non per niente i migliori esperti di finanza nel mercato newyorkese sono di religione ebraica: la loro cultura finanziaria è di molto superiore a quella di tanti altri.
Ebbene, considerato che l’economia è un gioco a somma non zero, se il comportamento dei giocatori è cooperativo, allora è possibile anche ipotizzare una collusione, un accordo tra le parti (persone, società, ecc.) per evitare rivalità o danni reciproci, e quindi creare la credibilità necessaria per innovare il sistema e trovare le risorse finanziarie per la “distruzione costruttiva”, proprio come secondo la tradizione ebraica.
Questa potenzialità è, per dimostrazione, possibile solo attraverso la logica economica: la politica ha una logica opposta.
- Un’ipotesi sul futuro.
Non sarà certamente la new economy a distruggere l’occupazione (il fattore di produzione lavoro), ma forse la tecnologia.
Molto verosimilmente la tecnologia sarà in grado di costruire unità di produzione completamente automatiche. Oggi la riduzione di occupazione nell’industria e negli stessi servizi è proprio una conseguenza dell’aumentata automazione e produttività; col tempo l’essere umano lascerà lavorare solamente le macchine, così come nella democrazia greca gli uomini liberi partecipavano alla vita politica perché avevano gli schiavi che lavoravano per loro.
Ma così come abbiamo già detto sopra, questa condizione non è accettabile dalla logica economica, in quanto il lavoro è il maggior produttore di reddito (potere economico), quindi di consumo (unica attività umana che giustifica la produzione).
- La trasformazione dei costi fissi in costi variabili nella logica della New Economy.
La teoria della New Economy di trasformare i costi fissi in costi variabili ripropone un principio esistente da sempre nella corretta teoria economica, quindi non inventa niente di nuovo, bensì conferma come nel processo produttivo si siano usate, fino ad oggi, regole più politiche che economiche, vale a dire regole che al giudizio della teoria dei giochi appartengono alla categoria dei giochi a “somma zero”.
L’economia basata sulle grandi infrastrutture (quindi su forti costi fissi) ha dominato il processo produttivo dagli anni sessanta agli anni ottanta, generando una costante dipendenza delle imprese dal potere politico amministrativo (siccome investire era estremamente costoso, bisognava ricorrere ai sussidi ed agli incentivi di legge, che venivano “dosati” dal potere politico).
Questo gioco viene ora sconvolto dalla globalizzazione, dalla tecnologia, e dall’incidenza ambientale nel processo di crescita economico. Il periodo della costruzione di grandi strutture è finito, e da queste il sistema si sta evolvendo verso microstrutture che, opportunamente combinate, vanno a sostituire la macrostruttura, ridisegnando al contempo tutta la dottrina economica che ha caratterizzato il periodo industriale.
Certamente questa innovazione, come tutte le innovazioni, ha scombinato gli equilibri esistenti che si erano creati con decenni di politica, per cui molti sparlano di new economy e di globalizzazione solo perché questi fenomeni stanno facendo sfuggire loro di mano il potere sugli imprenditori e sulle imprese.
Definizione di costi
I costi fissi sono quei costi che non variano con il variare della produzione. I costi variabili sono quei costi strettamente legati alla quantità di prodotto, e che devono essere sostenuti solo in presenza di una produzione.
La trasformazione dei costi fissi in costi variabili è cosa estremamente semplice da attuare se ci si inserisce nel contesto globale, mentre è pressoché impossibile se si resta confinati nel contesto locale. In effetti il contesto locale è “quel particolare sistema” dominato da leggi nazionali, che troppo spesso hanno molto a che fare con le leggi politiche e poco o nulla a che fare con le leggi economiche. Il contesto globale è, invece, “il sistema” dominato dalla razionalità economica, vale a dire da quella legge universale ed astratta che stabilisce per istinto di natura che tutti gli esseri viventi vogliono da una qualsiasi transazione economica vantaggi superiori ai costi, in un gioco a “somma non zero” dove tutti hanno un vantaggio ed un guadagno ad operare (fino a quando questa semplicissima regola non è capita da tutti (produttori e consumatori), non c’è alcuna speranza di poter operare nel contesto globalizzato di new economy).
In new economy tutti devono ricevere utilità (reale o presunta) da quello che scambiano. Del resto, anche “l’economia convenzionale” conosceva molto bene questa legge naturale, anche se non l’ha mai applicata perché succube della politica.
Pertanto, la globalizzazione è madre della new economy perché ogni business non è più soffocato da leggi locali, ma spazia in contesto mondiale che permette anche ai più umili di accedere ai mercati dei più potenti. Il “tiranno” di questo nuovo sistema non è più la politica, bensì il consumatore.
Oggi il cliente è il maggior patrimonio di ogni azienda. Egli è il titolare del reddito che trasforma il bisogno in domanda; egli è sovrano di fronte all’impresa. E’ solo necessario che impari a governare. Seguendo la logica economica insita nel rapporto Costo/Benefici, scopo ed etica dell’impresa è solo quello di fornirgli un prodotto sempre meno costoso, dal momento che il beneficio (reale o presunto) è in grado di stabilirlo solo il consumatore attraverso la sua analisi Costo/Benefici.
Per massimizzare questo rapporto, sia l’impresa che i consumatori cercano di trasformare i costi fissi in costi variabili, adottando regole molto semplici in un contesto quanto più globalizzato.
In regime di new economy la trasformazione dei costi fissi in costi variabili si può attuare attraverso una serie infinita di soluzioni, tra le quali possiamo evidenziare: la trasformazione della proprietà in possesso; l’outsourcing del back-office; l’utilizzo degli strumenti telematici per il marketing, la tecnologia, le vendite, la finanza; la soluzione innovativa al posto della soluzione di routine.
- La trasformazione della proprietà in possesso.
Questo semplicissimo accorgimento comporta una delle maggiori riduzioni di costo degli investimenti.
Affittare, avere in leasing, trasformare in lease-back, possedere in comodato la terra, l’azienda, o la casa, piuttosto che acquistarla, trasforma costi fissi in costi variabili, anche se questo modo di fare sconvolge la cultura tradizionale, basata su ben altri criteri.
Questo tipo di politica economica, osteggiata a livello nazionale più per motivi politici e sociali che per motivi economici, trova nel contesto mondiale una ragione essenziale, giacché fornisce la possibilità ai più poveri di diventare produttivi, piuttosto che vivere di carità (i caritatevoli sono troppo spesso coloro che non hanno nessuna intenzione di liberare gli assistiti dalla loro misera condizione, perché così facendo perderebbero ogni potere su di loro).
La trasformazione della proprietà in possesso, così largamente diffusa ad es. negli Stati Uniti, conferisce ad imprese e consumatori una maggiore capacità di investimento, in quanto l’immobilizzo di capitali è minore.
In regime di new economy non solo i prodotti industriali (stabilimenti, macchinari, tecnologia, ecc.) ma anche quelli di consumo (automobili, barche, computer, ecc) non vengono più acquistati, ma posseduti in affitto, in leasing, o in qualunque altra figura giuridica attinente.
Possedere, significa pagare solo l’uso del bene, quindi pagare solo se serve e quando serve.
Questo semplice accorgimento trasforma i costi fissi dell’acquisto in costi variabili dell’uso, permettendo a produttori e consumatori di abbassare drasticamente i loro costi unitari, consentendo, quindi, l’accesso ad attività che nella economia convenzionale erano rese impossibili dall’elevato ammontare dei costi fissi.
Nel contesto delle costruzioni, ad es., questa logica certamente sconvolge sia la logica politica dell’ingerenza nel business privato, sia quella bancaria del credito ipotecario basato sul concetto di “garanzia reale”.
Immaginiamo che cosa possa immaginare un politico che non abbia più da offrire facilitazioni immobiliari (concessioni, autorizzazioni, facilitazioni, pianificazioni, ecc.), che non possa più “costruire” infrastrutture politiche, dal momento che le macrostrutture sono inutili.
Se nel passato si è assistito alla condizione in cui il ricco padrone affittava i terreni ai poveri lavoratori, in new economy si verifica l’inverso: i poveri proprietari affittano i terreni ai ricchi imprenditori, perché entrambi ne hanno convenienza.
- L’out-sourcing del back office.
In termini italiani la frase può essere tradotta con: “subappalto delle attività che non hanno rapporto strategico con la clientela”.
Anche con questa seconda affermazione si attesta come l’obiettivo principale per l’impresa sia la gestione del cliente: chi ha in mano il cliente ha il business in mano (nella vecchia economia aveva in mano il business chi aveva in mano la produzione). In altre parole ritorna in gioco il vecchio mestiere del mercante, tanto biasimato da una certa cultura nazionale degli anni settanta e ottanta.
Dare in subappalto attività “non strategiche” significa sostituire costi variabili a costi fissi, ridurre i costi marginali ed offrire i prodotti a prezzi più contenuti. Del resto, qualcosa di simile è già successo da tempo nel mercato della meccanizzazione e delle attrezzature, dove la maggior parte del lavoro viene data in appalto a terzi specializzati.
- L’utilizzo degli strumenti telematici per il marketing, la tecnologia, le vendite, la finanza.
Penultima in ordine di elenco, ma prima in ordine di importanza, delle innovazioni della new economy è l’uso massiccio degli strumenti telematici che ha sconvolto i costi di marketing, di vendita, e di acquisizione di capitali tecnologici e finanziari.
Certamente tutti ricordano il tempo in cui, se si voleva penetrare un qualsiasi mercato, bisognava sostenere elevati costi fissi per poter arrivare in contatto col cliente (agenti, grossisti, distributori, spedizioni postali, ecc.). Inoltre, costituire una propria struttura di vendita era un’impresa riservata solo ai grandi distributori, ai deprecati mercanti che lucravano profumatamente sulla loro mediazione, e che erano la parte forte del business proprio perché avevano in mano il cliente. Chi non ricorda negli anni settanta la politica dei supermercati prima, e degli ipermercati poi, di vendere per contanti e di acquistare con pagamenti a 180/360 gg.? Chi non ricorda l’enorme massa di liquidità che questo sistema si ritrovò in mano e che impiegò (nel bene e nel male) in profittevoli impieghi finanziari? La stessa industria automobilistica (il settore industriale per eccellenza) non aveva la forza di uscire da questo schema, anche se aveva (e l’ha usata tutta) la forza di stringere il rivenditore con cont ratti di esclusiva.
Il capitale tecnologico che nell’economia convenzionale ha avuto un costo elevatissimo e che ha costretto l’utilizzatore a pagare spesso pesanti royalties, in new economy si acquisisce con costi molto più contenuti, e molto spesso anche gratuitamente. Questo non perché esistano più benefattori che nel passato, ma perché il capitale tecnologico è diventato meno importante del cliente, e quindi, viene impiegato, ed a costi più contenuti, solo se serve ad acquisire o far entrare nuovi clienti in determinati circuiti commerciali.
Chi, inoltre, non ricorda il comportamento di banche e bancarelle, capaci di vessare fino all’inverosimile l’imprenditore, solo perché costui non aveva possibilità alcuna di rivolgersi altrove o di dire “no, grazie” all’unico interlocutore con il quale poteva interagire?
Chi non ricorda il criterio usato dalle banche nel concedere credito, basato esclusivamente sul patrimonio aziendale o personale dell’imprenditore (esattamente l’opposto di quello che propone la new economy), criterio che esasperava ogni nuovo investimento?
Questo modo di fare, completamente antieconomico, era dettato da specifiche necessità politiche: le banche vessavano le imprese; i monopoli vessavano i consumatori; gli imprenditori vessavano i dipendenti; ognuno vessava l’altro. Che bel mondo di idioti.
L’utilizzo su vasta scala degli strumenti telematici permette di liberarsi di tutte queste reciproche schiavitù ed idiozie, abbassando soprattutto quei costi fissi generati da rendite parassitarie e di posizione.
Quelli che criticano la filosofia della new economy appartengono alle due categorie sopra accennate: i caritatevoli e i reddituali. I primi perché non vogliono mollare i più poveri dalla loro morsa (ti faccio carità affinché mi venga fatta carità); i secondi perché non vogliono perdere le loro rendite di posizione.
- La soluzione innovativa a confronto con la soluzione di routine.
Ricollegandoci brevemente alla teoria di Altshuller ed alle sue analisi sui brevetti depositati a Mosca dal 1946 in poi, c’è da dire che egli rilevò che molti brevetti presentavano soluzioni estremamente differenti l’una dall’altra. Per fornire un linguaggio con cui descrivere questo fenomeno egli compilò la seguente scala semiquantitativa di “inventiva”, in alcuni casi definita anche sommariamente, ma comunque molto efficace, basata su cinque diversi livelli di soluzione.
Livelli di soluzione
LIVELLO 1: Standard
* Soluzioni con metodi ben conosciuti all’interno della specialità
LIVELLO 2 : Miglioramento
* Miglioramento di un sistema già esistente, abitualmente attraverso qualche complicazione
* Metodi provenienti dalla stessa industria
LIVELLO 3: Invenzione interna ad un paradigma
* Miglioramento essenziale di un sistema già esistente
* Metodi provenienti da altri settori
LIVELLO 4: Invenzione esterna ad un paradigma
* Creazione di una nuova generazione di sistemi
* Soluzioni cercate “non nella tecnologia, ma nella scienza”
LIVELLO 5: Scoperta
* Invenzione pionieristica, o essenzialmente un nuovo sistema basato su scoperte scientifiche essenziali o su nuove scienze:
Altshuller definì il Livello 1 di questa scala come quello delle soluzioni di routine, ottenute usando metodi ben conosciuti all’interno del settore in questione. In soluzioni di questo livello il sistema esistente non è minimamente modificato, nonostante che particolari aspetti possano essere migliorati o potenziati. Un esempio di questo tipo di soluzione può essere quello di un aumento di spessore del materiale isolante di un gasdotto che porta ossigeno liquido ad un forno.
Definì il Livello 2 come quello delle soluzioni che, mentre lasciano essenzialmente il sistema immutato, coinvolgono nuovi particolari e conducono a miglioramenti definitivi. Un esempio di questo tipo di soluzione può essere quello della inclusione di uno specchio in una maschera per saldatori per focalizzare la luce dell’arco in quei punti dove è richiesta un migliore visibilità. Invenzioni di questo tipo sono ottenute da metodi ben conosciuti all’interno della stessa industria.
Definì il Livello 3 di soluzioni come quelle che costituiscono un miglioramento essenziale di un sistema esistente. Un esempio può essere trovato nella “trasmissione automatica”. Il Livello 3 di invenzioni coinvolge abitualmente tecnologie affini di altri industriali, che però non sono ampiamente noti al settore in cui sorge il problema di inventiva. Soluzioni ad un problema di Livello 3 creano, pertanto, un innalzamento del paradigma all’interno del settore industriale; le idee e i principi accettati sono cercati all’esterno di quel settore industriale.
Nel Livello 4 le invenzioni sono caratterizzate da soluzioni trovate nelle parole di Altshuller “non nella tecnologia, ma nella scienza”, vale a dire attraverso l’utilizzazione di effetti e fenomeni precedentemente poco conosciuti. Esempi ne possono essere l’uso di materiali con memoria termica (shape memory metals), nonché l’uso dell’effetto magnetoidraulico nel motore marino a jet.
Il Livello 5 dei problemi di inventiva si pone abitualmente oltre il limite della conoscenza scientifica corrente. Una soluzione a questo livello richiede la scoperta di un qualche fenomeno nuovo che possa essere applicato al problema. Questo livello abitualmente porta alla creazione di nuovi sistemi ed industrie (laser, aerei, computer, ecc.).
Traslando queste teorie nel sistema delle costruzioni, ad es., possiamo evincere che:
I Livelli 1 e 2 sono i gradi delle soluzioni burocratiche e dell’esperienza di cantiere. Queste soluzioni possono venire sia dal progettista che dall’appaltatore dei lavori, senza possibilità di uscire dalla logica della economia convenzionale.
Il Livello 3 può essere ricercato, ad es., nei prefabbricati.
Il livello 4 è quello che la filosofia della new economy richiede al settore.
Le soluzioni non sono più ricercabili dal progettista (ingegnere, architetto, ecc.), ma sono da trovare in un sistema globale di indagine che non è più confinabile in una singola disciplina o tecnologia.
Questo comporta un totale capovolgimento della politica economica delle opere pubbliche ed un passaggio dalla politica di “marketing oriented” alla politica di “strategy oriented” delle costruzioni private.
Qui si ripropone con forza l’affermazione di “distruzione creativa” di Joseph Schumpeter sopra citata.
Certamente il settore pubblico è ostile a questo livello di innovazione, giacché l’innovazione non comporta per lui nessun vantaggio immediato, che possa essere speso con vantaggi elettorali, mentre il settore privato italiano, che sta da poco vivendo la fase del marketing oriented, si sente già richiedere strategie di livello superiore.
Comunque, senza questo livello di innovazione il settore delle costruzioni, non solo non entra nella fase di new economy, ma non sembra neanche in grado di uscire dalla crisi in cui è caduto.
I giochi a somma zero non possono più essere proposti a nessuno.
Enrico Furia
Gnosys
info@worldbusinesslaw.net
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