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FORTEZZA AMERICA

Enrico Furia (7 luglio 2002 )

 

Su Business Week di giugno è apparso un interessante articolo sul protezionismo americano in generale, a sugli aiuti alle imprese agricole in particolare, dal quale si prende spunto per discutere sul discorso più vasto della globalizzazione economica e di aiuto ai paesi più poveri. "Fortezza Europa". Fino a poco tempo fa questa era stata la paura più grande della politica e dell'economia americana. Mentre gli Europei compivano sempre più la loro unione, gli Americani sentivano sempre più la paura di essere esclusi dal maggior mercato di consumo del mondo. Ma alla fine non è andata così. La relazione commerciale transatlantica è diventata il più ricco partenariato economico del pianeta, e gli Europei hanno abbracciato l'America commerciale con tutti i suoi simboli. McDonalds, Starbucks e le filiali di Citibank riempiono gli angoli di quasi tutte le città europee.
E se gli Europei oggi hanno una qualche paura in più, questa si può chiamare "Fortezza America".
Infatti, se si guarda oltre Atlantico, si possono facilmente vedere mura difensive dappertutto:
acciaio, agricoltura e prodotti forestali sono strenuamente protetti da Washington, anche se il Presidente Bush aveva apertamente dichiarato l'applicazione del libero scambio. "L'essenza della questione", ha detto Leo Apotheker, responsabile operativo della società di software SAP, "è che l'Unione Europea, tranne che per l'agricoltura, più in generale non è protezionista, mentre l'America lo è". Certamente il deficit del bilancio americano di 400 miliardi di dollari lascia intendere che prima o poi le aziende estere avrebbero dovuto incontrare non poche difficoltà a vendere negli Stati Uniti. Americani ed Europei hanno sempre avuto lunghe storie sui loro commerci, per poi riuscire sempre a tacitare i loro contrasti, e molti politici europei devono sotto sotto simpatizzare non poco per Bush, quando fa il protezionista, proprio perchè soddisfa loro esigenze elettorali. In verità, la via dell'Unione Europea è sempre stata pavimentata di compromessi e concessioni locali di ogni sorta. Ma questa volta gli Europei hanno la sensazione che qualcosa è cambiato in peggio nei rapporti con gli USA, giacchè i messaggi che arrivano dall'amministrazione Bush sembrano troppo decisi ed inflessibili per essere trascurati. Il risultao è un realistico sospetto che l'egemonia USA sia molto meno benevole ed unilaterale di quanti molti possano pensare. Le manovre americane sono dirette a piegare la crescita di quegli Europei che vogliono la promozione del libero scambio e la fine dell'economia sovvenzionata, piuttosto che la sua resurrezione. Pertanto, gli Europei non accettano il 30% di protezione doganale sull'acciaio che Bush ha applicato dallo scorso mese di marzo. L'europa ha impiegato più di trent'anni per ammodernare la sua industria pesante, e non si capisce perché non dovrebbero farlo anche gli Americani. Gli Europei odiano i 190 milioni di dollari che il Governo americano ha concesso ai suoi agricoltori come sussidi (legge approvata il 14 Maggio u.s.), legge che taglia le gambe ad ogni tentativo europeo di imbrigliare il dicorso degli aiuti alle imprese e, probabilmente, i Francesi hanno adesso validi argomenti per rinvigorire la loro politica di aiuto alle imprese agricole. Anche i più agguerriti sostenitori inglesi degli americani avranno forse da ridire per il fermo dato ai sistemi BAE, che essi volevano offrire a TWR Inc. costruttore di satelliti, dal momento che la voce che circola a Washington è che gli Inglesi farebbero meglio a starsene a casa. Circolava una volta la paura della "Fortezza Europa", oggi circola la paura della "Fortezza America".
Se la cultura d'impresa prevalente negli S.U. è questa, dobbiamo credere che la globalizzazione economica sia stata una gran presa in giro, e che quella che si voleva attuare era la globalizzazione politica, dove gli Americani hanno sempre dimostrato di saperci fare molto di più di qualsiasi leader europeo del dopoguerra, tranne De Gaulle. Orbene, se il Business ricade nelle mani della politica, la tecnologia torna ad essere condizionata e condizionante, la globalizzazione economica si trasforma in un nuovo imperialismo ed il destino dei Paesi in via di sviluppo è quello di tornare ad essere colonie. Lo scrivente non è un antiamericano ad oltranza, al contrario, è uno che esalta la cultura, la tecnologia e la libertà di Business di quel paese, ma al contempo è un cittadino qualsiasi che si rende conto da tempo che la politica, di qualsiasi provenienza, non ha mai creato, né mai creerà nuova ricchezza, pertanto che essa non ha la logica corretta per risolvere i problemi del mondo.

     Enrico Furia

     Gnosys
     info@worldbusinesslaw.net

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